Interessanti rapporti fra visione ed apprendimento in V1

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 13 giugno 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Detta anche “retina corticale” per la fedele e completa rappresentazione al suo interno dei campi retinici, nell’uomo l’area visiva primaria o V1, corrispondente all’area 17 della mappa citoarchitettonica di Brodmann, è stata a lungo considerata quasi esclusivamente una sede di elaborazione di processi percettivi elementari. Descritta spesso come un centro corticale di raccolta di tutta l’informazione proveniente dall’occhio e di smistamento alle altre aree visive per l’elaborazione specializzata, è stata considerata più come un punto di partenza per i due flussi di informazione intracorticale – diretti rispettivamente ai lobi temporale e parietale – che una struttura con una precisa identità fisiologica. In tempi recenti, numerose evidenze indicano una realtà più complessa.

In generale, negli animali studiati e, in particolare, nei roditori di laboratorio, le aree sensoriali primarie della corteccia cerebrale si ritiene che rappresentino con estrema fedeltà i caratteri dello stimolo rilevato dai fotorecettori retinici; tuttavia, tale rappresentazione è risultata soggetta a mutamenti, rilevati sia quando l’animale fa esperienza ripetuta dello stesso stimolo acuendo la sua abilità di discriminarlo, sia, soprattutto, quando lo associa ad un particolare comportamento.

Jasper Poort e Adil G. Khan, con numerosi collaboratori, hanno indagato il modo in cui l’apprendimento modifica le rappresentazioni neurali nella corteccia cerebrale del topo in corrispondenza dell’area visiva primaria (V1). In particolare, hanno rilevato ed analizzato con l’ausilio di una tecnica avanzata di imaging del calcio, i mutamenti che si verificavano nei neuroni dell’area percettiva primaria, quando gli animali imparavano la giusta esecuzione di un compito comportamentale guidato dalla vista.

Con l’apprendimento, popolazioni di neuroni in V1 discriminavano con efficacia progressivamente crescente gli stimoli visivi rilevanti per la prova sperimentale.

I ricercatori hanno individuato i fondamentali cambiamenti al livello di singole cellule responsabili dell’effetto di popolazione, ed hanno proseguito le indagini con risultati di sicuro interesse neuroscientifico generale (Poort J., et al., Learning Enhances Sensory and Multiple Non-sensory Representations in Primary Visual Cortex. Neuron – Epub ahead of print http.//dx.doi.org/10.1016/j.neuron.2015.05.037, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Biozentrum, University of Basel (Svizzera); University College London, London (Regno Unito); Fiedrich Miescher Institute for Biomedical Research, Basel (Svizzera).

La percezione visiva è considerata oggi in massima parte un processo costruttivo nel quale le funzioni corticali del più alto livello di elaborazione ed integrazione hanno un ruolo decisivo. L’analisi dettagliata delle componenti retiniche elementari della percezione, cui si era giunti già mezzo secolo fa, non permetteva infatti di dare spiegazione alla maggior parte dei fenomeni che ci consentono di analizzare ed apprezzare l’ambiente che ci circonda, interagendo in modo appropriato con persone ed oggetti, in rapporto ad un una gamma di significati che va dal senso geometrico chiaroscurale a quello affettivo ed esistenziale. In proposito, Richard L. Gregory, pioniere dello studio del rapporto fra occhio e cervello e sostenitore della tesi secondo cui l’evoluzione dell’organo della vista avrebbe preceduto quella della neocorteccia agendo da traino per l’encefalo, così si esprimeva: “Dai patterns di stimolazione della retina noi percepiamo il mondo degli oggetti e questo non è niente altro che un miracolo”[1].

Dopo mezzo secolo di studi rimangono valide le nozioni anatomiche ed alcune fra le acquisizioni di base più semplici di fisiologia della visione, ma veramente molto è cambiato.

Rimane sostanzialmente invariata la descrizione macroscopica delle vie ottiche[2]. di una via visiva genicolo-striata[3], che dal nucleo genicolato laterale raggiunge la corteccia calcarina occipitale in corrispondenza dell’area visiva primaria, affiancata da due vie discendenti che dal nucleo genicolato laterale si dirigono in basso, l’una per il controllo dei movimenti dell’occhio e l’altra per la regolazione dei riflessi pupillari alla luce.

In ciascun lato, la radiazione ottica che va dal nucleo del corpo genicolato laterale alla corteccia visiva primaria, forma una mappa neurale completa del campo visivo controlaterale. Poiché tale mappa conserva la configurazione spaziale della retina, riproducendo i rapporti reciproci di posizione e distanza dei punti che la costituiscono, si definisce retinotopica. Subito oltre la corteccia striata vi sono i territori extra-striati: un insieme di aree visive di alto ordine nelle quali è stata riconosciuta un’organizzazione retinotopica.

La corteccia visiva primaria (V1), perfettamente coincidente con l’area 17 descritta e delimitata da Brodmann su base citoarchitettonica, costituisce la sede del primo livello di elaborazione corticale dell’informazione visiva. Nella corteccia extrastriata, l’area visiva secondaria o V2, corrisponde abbastanza bene all’area 18 di Brodmann; andando oltre, però, all’interno dell’area 19 si possono riconoscere piccole sotto-aree distinguibili per ruolo funzionale ma non caratterizzabili in base a criteri anatomici.

Dalla corteccia di V1 si dipartono due vie principali per la complessa e in gran parte parallela elaborazione dell’input visivo: 1) la via ventrale che veicola ai lobi temporali dati sull’identità dello stimolo; 2) la via dorsale che reca al lobo parietale informazioni sulla spazialità dello stimolo, che risultano indispensabili per guidare il movimento.

La corteccia visiva di ciascun emisfero rappresenta un po’ più di metà del campo visivo, così che le rappresentazioni dei due emicampi hanno una piccola sovrapposizione sul meridiano verticale. Tale disposizione sembra essere necessaria al corpo calloso per determinare l’unificazione percettiva degli oggetti.

Senza nemmeno elencare per definizione le nuove nozioni acquisite sull’organizzazione delle colonne di dominanza, delle colonne di orientamento, dei moduli computazionali corticali, sulla trasformazione dell’informazione neurale da parte di circuiti corticali intrinseci della visione, e senza discutere la varietà dei codici visivi corticali, si può sintetizzare il salto di qualità conoscitiva degli ultimi decenni ricordando che si è passati dalla nozione, che ha dominato gli studi nel corso di un secolo, di 3 aree visive corticali, alle 32 aree attualmente note.

Fatte queste premesse sulle basi dell’elaborazione centrale della visione nella nostra specie che, oltre a riflettere la cultura e gli interessi neurologici dell’autore della nota indicano gli aspetti più evoluti della funzione visiva nei mammiferi, ritorniamo ad una più semplice e generale organizzazione funzionale dell’elaborazione corticale quale quella riconosciuta nei roditori e, in parte, assunta come paradigma elementare conservato nel corso dell’evoluzione fino ai primati.

In generale, si ritiene che le aree sensoriali primarie della corteccia cerebrale rappresentino in modo assolutamente fedele l’identità degli stimoli provenienti dall’ambiente esterno. Eppure, è un’evidenza sperimentale nota da tempo e numerose volte confermata che, quando un animale apprende un’associazione fra uno stimolo e la sua rilevanza comportamentale o migliora la sua capacità di discriminazione percettiva con l’esercizio, la rappresentazione corticale dello stimolo in questione cambia. Tali cambiamenti possono portare a rappresentazioni accentuate e più discriminate degli stimoli rilevanti per un compito, migliorando il valore di informazione saliente per le aree corticali che ricevono lo stimolo dall’area primaria.

A questo proposito Jasper Poort, Adil G. Khan e colleghi si sono chiesti: 1) come cambiano le proprietà di risposta dei singoli neuroni quando gli stimoli diventano rilevanti? 2) Per quanto tempo e fino a che punto questi cambiamenti persistono quando gli animali non sono impegnati nel compito? 3) In che modo le variazioni di risposta indotte dall’apprendimento si rapportano all’apparenza di segnali non sensoriali dipendenti dalla prova? 4) Tali segnali non sensoriali agiscono globalmente o interessano specifici sottoinsiemi di neuroni codificanti elementi sensoriali rilevanti in termini comportamentali?

Per cercare di rispondere a questi quesiti, i ricercatori hanno impiegato una tecnica di imaging bi-fotonico del Ca2+ nell’area V1 del topo, mentre gli animali imparavano ad eseguire una prova di discriminazione in una realtà virtuale.

Sono state ottenute immagini dell’attività delle popolazioni neuroniche dello stesso strato corticale (2/3) mentre i topi imparavano a distinguere, correndo lungo un corridoio virtuale, fra due configurazioni visive, una sola delle quali era associata a ricompensa. I miglioramenti registrati nella prestazione comportamentale erano strettamente associati con rappresentazioni di stimoli rilevanti per il compito sempre più distinguibili, al livello delle popolazioni neuroniche, quale risultato di reclutamento di nuovi neuroni selettivi per quegli stimoli e stabilizzazione degli esistenti. Questi effetti erano correlati con l’apparire, durante l’apprendimento, di numerosi segnali dipendenti dal compito: quelli che aumentavano la selettività neuronica fra le popolazioni quando animali esperti si impegnavano nel compito sperimentale; e quelli che riflettevano l’anticipazione o le scelte comportamentali specificamente nei sotto-insiemi neuronici che preferivano lo stimolo associato a ricompensa.

Da quanto emerso si deduce che l’apprendimento impegna diversi meccanismi che modificano rappresentazioni sensoriali e non-sensoriali in V1, per adattare la sua elaborazione alle esigenze del compito e alla rilevanza comportamentale degli stimoli visivi.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-13 giugno 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Cfr. Richard L. Gregory, Eye and Brain (1st edition). McGraw Hill, 1966.

[2] Ricordiamo che per vie ottiche si intende l’insieme di tutti gli assoni che originano dalle cellule gangliari della retina, includendo la via visiva i cui assoni, dopo l’incrocio chiasmatico, raggiungono il nucleo genicolato laterale che proietta alla corteccia; i fasci di fibre che percorrono i bracci congiuntivi superiori dai corpi genicolati laterali (quelli mediali appartengono alla via acustica) ai tubercoli superiori della lamina quadrigemina, includendo le due vie che dal corpo genicolato vanno, l’una ai nuclei dei nervi motori dell’occhio (III, IV, VI) e l’altra ai nuclei dell’area pretettale e ad altre formazioni grigie per i riflessi pupillari mediati dal sistema autonomo.

[3] Ricordiamo che, nei trattati di anatomia umana, si conserva la denominazione di corteccia striata per la superficie di questa regione del lobo occipitale, a motivo di una caratterizzazione descrittiva, ben evidente all’osservazione microscopica: negli strati intermedi del pallio esalaminare risaltano degli addensamenti ricchi di mielina, che formano striature biancastre non rilevabili nei territori circostanti. In realtà, il nome di corteccia striata era già stato dato a quest’area per la stria visibile ad occhio nudo e descritta dall’anatomista Gennari mediante l’uso di una semplice lente di ingrandimento (stria di Gennari) e poi considerata una forma più pronunciata di stria di Baillarger. La stria di Gennari è esclusiva dell’area 17 o V1 o corteccia visiva primaria, mentre è assente nelle aree 18 e 19.